venerdì 15 aprile 2011

RITRATTO DI GRUPPO


 
‘ Quando si accorse che si trovava all’inferno e non in paradiso, era troppo tardi per fuggire, e si diede da fare per bruciarlo’

(Mehmet Karim)

‘ Impiccati a Chicago, decapitati in Germania, garrotati a Xeres, fucilati a Barcellona, ghigliottinati a Montbrison ed a Parigi, i mostri morti sono numerosi, ma non avete potuto distruggere l’anarchia. Essa è dovunque’


( Canto anarchico)



Otto uomini , ancora giovani , ritratti in una foto in bianco e nero, marciano verso l’obiettivo del fotografo. Siamo a Barcellona, è il 20 luglio dell’anno 1936 e loro stanno attraversando piazza San Jaime  diretti al palazzo della Generalitat .
La scena potrebbe richiamare alla mente il ‘Quarto Stato’. Ma quegli uomini sorridenti non hanno nulla della cupa determinazione che emana dagli operai del quadro di Pellizza da Volpedo.  Sembrano piuttosto un gruppo di amici , di ritorno dal rito collettivo domenicale , come può essere quello di una partita di calcio. Hanno un’andatura sciolta, rilassata che la fissità della foto sembra addirittura avere accentuata.  I loro piedi ‘pestano’ gli ‘adokines’, dietro di loro una folla indistinta.Alle loro spalle dei pini marittimi e due palme . Un bel palazzo nello ‘jugend style’ chiude la prospettiva della foto dalla parte destra . Verso il mare, sfumati come un miraggio, due edifici di colore bianco , serrano  lo sfondo. Gli otto sono gli uomini del ‘Comitato di Difesa Confederale’ che hanno diretto la battaglia di strada che ha avuto ragione dell’esercito insorto.
Il primo a sinistra si chiama José Perez Ibanez ‘El Valencia’ e per una volta tanto lui, accanito fumatore di sigarette fatte con l’impossibile tabacco andaluso, non tiene una sigaretta accesa tra le dita ingiallite dalla nicotina. Veste un ‘mono’ blu, una bustina in testa e ha una mitragliatrice Hotchins bilanciata sulla spalla sinistra. Non lo sa ancora ma assieme a Ortiz l’ironico dongiovanni che i più anziani tra gli anarchici tengono in sospetto per le sue avventure amorose, e Primitivo Gomez nel 1948, cercherà di ammazzare a Donostia il generale Franco
Alla sua sinistra tanto piccolo , del resto non a caso viene chiamato il ‘piccolo giacobino’, in canottiera di cotone bianco e calzoni neri, con gli occhiali dalla pesante montatura anche questa nera, l’espressione corrucciata che tutti gli conoscono , la generosa stempiatura che neanche i capelli neri e crespi riescono in qualche modo a nascondere , marcia Severino Campos. L’unico che non porta armi. Del resto lui più che un uomo d’azione  è un insegnante. Sono infatti numerosi gli ‘Ateneos’ che ha fondato o diretto in tutta la Spagna assieme alla sua compagna che si chiama Igualdad Ocana. Severino morirà il 2006. A cento anni appena compiuti, dopo avere scritto libri, partecipato a decine di conferenze, sempre attento, ironico e cortese. E’ tanto piccolo Severino che sembra quasi ‘schiacciato’ tra ‘El Valencia’ e un uomo sorridente e biondo che si chiama Ricardo Sanz. Che qui sembra grande  e grosso, anzi grasso , con le mammelle che premono da sotto una maglietta bianca a maniche corte, lo ‘straccale’ di cuoio che regge la cintura con la fondina e la rivoltella dentro, tolta a qualche ufficiale, che in diagonale gli taglia il torace carnoso . In un’altra foto presa lo stesso giorno, Ricardo che fin da subito si è conquistato un posto importante nella complicata e fluttuante gerarchia dei gruppi anarchici barcellonesi, quando poco più che ventenne ha cercato di far saltare in aria il treno su cui viaggiava il dittatore Primo de Rivera, appare incredibilmente più magro. E’ sempre sorridente e si volta verso Garcia Oliver che sventola felice, in alto, sopra la testa una carabina della cavalleria. Qui, accanto a lui, in pantaloni color caki e camicia bianca, una sigaretta che si porta alla bocca con la mano sinistra, Aurelio Fernandez che ha i capelli tirati all’indietro, quasi fosse un ballerino di tango.Garcia Oliver,  anch’egli vestito col ‘mono’ blu che diventerà la divisa delle ‘milizie’,  ‘ dal colorito olivastro, bello, con una cicatrice sul viso, fotogenico, cupo’ e terribilmente ambizioso, che finirà, lui che ha girato praticamente tutti i ‘penal’ della penisola, a fare il ministro della giustizia, guarda preoccupato Sanz che cammina un passo davanti a tutti, quasi temesse che  gli possa rubare la scena. Jover, ‘il vecchio’, il ‘cinese’, l’unico che tra tutti loro ha passato i quaranta, vestito con una tuta leggera di cotone che si intuisce del colore del tabacco,guarda da un’altra parte, quasi la scena non lo riguardasse. Invece Miguel Garcia Vivancos sembra vestito come un pescatore della domenica, con un giubbotto senza maniche e una camicia blu. Ormai esiliato a Parigi e ridotto in miseria, conoscerà nel 1947 Pablo Picasso e Andrè Breton. Comincerà a dipingere a cinquant’anni suonati. I suoi quadri fra gli altri saranno comprati da Greta Garbo, David Rothschil, Helena Rubinsteine Francois Mitterand.Infine Augustin Souchy in camicia bianca e una borsa forse di cuoio nella mano destra, chiude la fila. Ha il viso dai tratti gentili quel tedesco che parla undici lingue e scrive correttamente in sei idiomi. Mancano soltanto tra di loro Buenaventura Durruti e Antonio Ortiz. Magari proprio in quel momento sono andati dalle loro donne a rassicurarle che sono ancora vivi. Oppure stanno vegliando la salma di Francisco Ascaso che è stato adagiato su di un tavolo del sindacato delle ‘Costruzioni’ e pare tanto piccolo e indifeso nell’abito marrone, e coi sandali di corda ai piedi. O magari stanno bevendo qualcosa di fresco in uno dei tanti caffè del Paralelo o in una bettola fumosa del ‘Raval’ in cui si sta già dando la stura a storie che sempre più assumeranno il tono di un’epica popolare e proletaria.
Non c’è nulla di marziale o di guerresco nell’espressione e nella postura di quegli otto uomini che hanno appena fatto a pezzi un esercito intero. Sono cresciuti in quei quartieri dove, se un ragazzino passa per strada con una brocca di latte di capra in mano, tutti sanno che in quella casa c’è un ammalato. O magari sono arrivati in città da un piccolo ‘pueblo’ , dove i ‘cacique’, lugubremente monturati in camicia nera e gli stivali unti con grasso di porco, decidono della vita e della morte dei contadini. Hanno cominciato a lavorare che non avevano compiuto ancora i dieci anni, e prima dei quattordici si sono affiliati al sindacato. Hanno partecipato agli scioperi, i più duri e alle risse con i crumiri laggiù, sui docks del porto.Tutti loro hanno l’abitudine alla violenza. Hanno fatto parte dei gruppi d’azione del ‘tessile’ come del ‘metallurgico’, sono scampati più volte alle ‘pisole’ di Koenig e soltanto per puro caso i poliziotti della ‘Brigada Politico Social’ non li hanno sottoposti alla ‘ley de fuga’. Sono finiti innumerevoli volte al ‘Montujic’ e al ‘Modelo’, come nei tanti bagni penali che punteggiano tutta quanta la penisola.
Hanno già ucciso prima di quei tre giorni che ricorderanno per tutta la vita. Colpito con durezza ‘pistoleros’ della ‘Libre’, uomini della Falange, industriali e anche religiosi, come l’arcivescovo di Saragozza, che è stato ucciso con ben diciassette colpi di rivoltella . Ma non amano la violenza.
Hanno rapinato banche, come quella di Eibar, da dove se ne sono andati con più di 300.000 ‘pesetas’, o come quella del Banco di Bilbao, dove di ‘pesetas’ ne hanno portate via 650.00 , che sono servite per pagare gli avvocati dei tanti in galera, e per sé non si sono tenuti neanche un centesimo, sono stati condannati a morte, andati esuli . Tanti dei loro amici sono stati ammazzati in quegli anni. Come è successo a Eusebio Brau che è stato crivellato di colpi, mentre cercava di rompere una accerchiamento della polizia, sparando con una pistola automatica in tutte e due le mani.
Ma che sta succedendo in quel preciso momento in quella città tanto bella e che tutti loro amano selvaggiamente?  Che sta accadendo nella città che è caduta nelle loro mani ?
C’è chi si prepara a fuggire disperato perché sa che l’orda si è sollevata e i ‘murcianos’ della Torrassa si preparano a calare sulla città, pronti a saccheggiare e a violare le donne in crinolina. Così almeno in tanti credono. C’è chi assalta le caserme e porta via bracciate di ‘mauser’, chi brucia le chiese o espone al pubblico ludibrio le mummie delle monache, tratte da qualche cripta. Automobili che passano a folle velocità e aritmicamente clacsonano ‘CNT. CNT. FAI’, dirette chissà dove.Un folto gruppo di miliziani con il braccio destro levato in alto e il pugno chiuso, il fucile alla tracolla , si fa fotografare . Negozi sullo sfondo, con quelle scritte eleganti di colore oro su uno sfondo verde bottiglia, che farebbero pensare a una via che dalle Ramblas porta a Plaza Real. Sul ‘parabrise’ dell’automobile, la scritta CNT in vernice bianca che spicca anche sulla portiera di destra. Una bandiera drappeggiata sul radiatore, un giovane sorridente, tutto vestito di bianco che sorride. Una guardia Civil, e due guardie municipali in una posa che credono marziale, un ragazzo con l’elmetto e il fucile  e un altro, quasi un bambino che sorride all’autista che non si distingue e ti chiedi come possa guidare, con quella scritta che gli tappa la visuale  e il grappolo di gente che lo serra dappresso. Sul tetto dell’automonbile nera, un quadro che raffigura una qualche madonna, magari la vergine del Monteserrat e, appoggiato a un fanale un altro quadro con sopra Santa Rita da Cascia . Il palazzo sulla destra ha le clerc abbassate, curiosamente le persiane del piano nobile risultano aperte e sono spalancate anche quelle della grande casa dall’intonaco bianco che chiude lo sfondo. Ma per fortuna , in quel momento, sicuramente c’è anche chi fa all’amore. Perché darsi e perdersi  dentro al corpo della donna che si ama, è più importante , per un’ora almeno, che fare la rivoluzione.
Praticamente tutti e otto quegli uomini , nei mesi a venire, comanderanno divisioni o brigate, ma non diventeranno mai soldati di mestiere.
Il loro lavoro del resto è sempre stato quello di tutti. Hanno fatto infatti i meccanici, i panettieri, i manovali, gli operai tessili o gli ebanisti. Moriranno tutti vecchi, quasi tutti in esilio, magari in una casa di riposo per anziani, dopo avere lavorato per tutta una vita. Lasceranno il loro corpo alle facoltà di medicina o sceglieranno la cremazione.
In appena poche ore sono diventati  gli uomini più potenti di tutta la Catalogna, ma non se ne renderanno mai conto.
Faranno degli errori terribili e quella che è stata l’ultima vera rivoluzione del ventesimo secolo, fatta dall’ultimo movimento onesto nella storia del movimento operaio , annegherà nel tradimento e nelle recriminazioni, anche a causa dei loro sbagli. Proprio perché non riusciranno assieme a tanti altri come loro , a dare all’utopia il senso della responsabilità e della ragionevolezza che la storia sempre esige.
Fra di loro , nei decenni che verranno, sorgeranno inimicizie e rancori che dureranno per tutta una vita.
Ma quello che la foto rappresenta in quel giorno è il loro trionfo. Che poi è stato il trionfo di tanti. Sono contenti in quella foto, perché hanno vinto, o  magari soltanto per essere andati in combattimento ed essere tornati ancora stupendamente vivi. Ma dietro la storia, c’è sempre la vita . E allora uno si dovrebbe fare delle domande semplici. Magari che cosa piaceva a loro da mangiare. Se le loro compagne erano belle, o magari se per fare la rivoluzione hanno trascurato i loro figli. O addirittura che cosa contenesse la borsa che Augustin Souchy tiene nella mano destra. Se dentro c’erano tre o quattro bombe a mano, o magari soltanto gli appunti, preziosi per uno dei tanti libri che scrisse in una vita intera.
Uno tra di loro , tre giorni avanti, appena poche ore prima di scendere per strada è stato chiamato dal padrone del ‘Ritz’ , il prestigioso albergo di Barcellona dove lavora da un anno. Là dove scendono le teste coronate, gli industriali baschi o la decrepita nobiltà andalusa . L’uomo che ti immagini, anzi che certamente è pingue e con un abito leggero di lino, con formidabili baffi, o meglio ancora con i mustacchi, l’ha convocato nel suo ufficio. Un ufficio che sa di pulito, dai divani e le poltrone di cuoio, un tavolo di quercia con sopra posato un vassoio d’argento massiccio con bottiglie in pesante cristallo molato che lasciano intravedere il colore ambrato del brandy. Qui l’uomo con tono sussiegoso gli ha comunicato di averlo scelto tra i tanti dipendenti per diventare ‘maitre’ di quell’albergo che ha i suoi pari soltanto a Londra o a Parigi. E lui ha assentito , fingendo riconoscenza e cercando di fare in fretta ad andarsene, perché fuori, nel vicolo dove passano i fornitori e da dove viene ritirata la biancheria sporca, dove i ragazzi che lavorano in cucina escono a fumarsi in fretta in quel vicolo maleodorante, una sigaretta, lo aspettano tre compagni.
L’uomo esce da una porta che dà sul retro. Uno dei compagni gli porge la rivoltella, una ‘Astra’ da 9 mm. che lui controlla non abbia il colpo in canna, poi tutti e quattro escono nel sole.
Quattro giorni dopo , il ‘Ritz’ diventerà una mensa popolare, dove mangeranno gli operai, le megere dai capelli ingialliti , i mendicanti e le puttane dagli occhi stanchi.
Forse la rivoluzione sta tutta lì. Nella possibilità di vivere  una festa che sovverte tutte quelle regole che sempre chi comanda ha scritto da solo.

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