venerdì 15 aprile 2011

'IL CIMITERO DI PATERNA'



‘Il giorno che ammazzarono José Pellicer fu un giorno come quello di oggi’
Miguel Amoros 8 giugno 2008


‘El humo es vano y el oro no se mancha. Es en todo la verdad vencedora. Mas a poco les dio un dios la virtud hasta el fin. Que no es facil ser digno’
Simonide di Ceo.



Il cimitero di Paterna, una località vicino a Valencia  è tranquillo e  accogliente Un  monumento ricorda che nella fossa comune vennero sepolti i 2237 uomini che  i fascisti fucilarono  nella capitale del Levante e nelle piazze dei tanti ‘pueblos’ che le facevano corona.
Le tombe sono di marmo o in ceramica , decorate a volte con conchiglie marine. Alcune tra di esse sono soltanto segnate da un piccolo monticello di terra con un numero e qualche fiore o una piccola scultura .
I nomi dei defunti , a volte sono scritti a mano sulla croce, in una cornice di ceramica decorata a colori vivaci.
E’ un cimitero pieno di leggende come quella che ancora oggi si racconta di ‘El manco della Pesquera’. Un maquisard che in realtà si chiamava Basilio Serrano fucilato nel 1955 perché faceva parte della ‘Agrupacion Guerrillera de Levante e Aragona’ e  che le ballate popolari volevano appunto  che per anni avesse rubato ai ricchi per dare ai poveri.
Nella parte nuova del cimitero, una scritta sul marmo di una tomba ricorda che : ‘Solo l’azione tenace alla ricerca della verità nobilita l’esistenza’ e un uomo dall’espressione ironica e intelligente con sottili baffetti neri perfettamente curati, la fronte alta, un po’ troppo forse per un uomo di neanche trenta anni, e una camicia bianca slacciata sul collo guarda diritto davanti a sé da una fotografia.
E’questa la solo foto che di lui si conosce. L’unica altra immagine che ci è stata tramandata è un dipinto che la figlia Coral ospita in un appartamento stracolmo di libri, ritagli di giornali, foto, fotocopie di documenti e lettere che le arrivano da ogni parte del mondo. Chiunque le scrive, sempre sottolinea il coraggio e la dirittura morale di suo padre.
Nel quadro che campeggia su un muro, con un passpartout  bianco e una sottile cornice nera, l’uomo porta la barba , è elegante in giacca ,camicia e cravatta di seta. Guarda verso sinistra e  nell’insieme assomiglia a un grande di Spagna di un dipinto di  Velazquez.
L’uomo parlava quattro lingue, compreso l’esperanto, aveva vissuto a Parigi, in Marocco e in Belgio. Ferito due volte in combattimento, incarcerato dai comunisti, era stato tante cose. Disertore, intellettuale, anarchico, uomo ‘d’azione’, liberatore di prigionieri e sindacalista. Soprattutto era stato il fondatore della ‘Columna de Hierro’, la più denigrata e maledetta  tra tutte le colonne anarchiche che parteciparono alla rivoluzione di Spagna tra il 1936 e il 1939 e che arrivò a contare più di 20.000 tra uomini e donne.
José Pellicer Gandia, così si chiamava l’uomo, era nato  a Grao de Valencia, nel 1912 da una  famiglia appartenente all’alta borghesia valenciana.
Suo nonno Vicente aveva infatti fondato la Bodega Castillo de Liria , una delle più importanti aziende della città, all’interno della quale, lui appena adolescente, aveva scatenato uno sciopero.
Responsabile ad appena diciannove anni dell’Ateneo Libertario di Valencia,disertore a Parigi, rientrato in Spagna ,viene incarcerato nel penal di Llieda e poi trasferito a un reggimento.
Nel 1934 nella caserma del Carmen a Marnresa, organizza un gruppo di soldati che solleva durante lo sciopero insurrezionale di ottobre. Giudicato da un tribunale militare e condannato alla deportazione, viene letteralmente strappato dall’avvocato Antonio Reina Gandia giù dalla nave che lo doveva portare a Villa Cisneros.
Fino al 19 luglio non fa altro che entrare e uscire dalla prigione. Forse partecipa a delle rapine in banca, sicuramente disegna e scava un tunnel che fa scappare molti compagni dal carcere dove sono stati rinchiusi.
Appena l’esercito si solleva , con appena  un centinaio di uomini armati dei pochi fucili rinvenuti all’interno della caserma Alameda di Valencia, assieme a Rafael ‘Pancho Villa’, Rodilla, Segarra , Paco Mares,Elias Manzanera, Joaquin Canet attacca battaglia a Sarrion, Puerto Escandon, e respinge i soldati fin quasi alla periferia di Teruel.
E’ a partire da questo momento che il suo nome come quello di Maximo Franco e Francisco Maroto, comincia a circolare , all’interno del movimento, tra i più conosciuti e stimati comandanti delle milizie che si battono contro l’esercito di Franco.
Quasi sempre Pellicer viene chiamato il ‘Durruti di Valencia’. Mentre per Miguel Amoros con Buenaventura Durruti Pellicer aveva poco a che spartire. I due uomini erano per lui ‘assolutamente differenti’.
Durruti era aiutato nelle sue scelte dal coraggio , dal suo magnetismo personale e dalla sua smisurata umanità .
Pellicer invece non aveva nulla dell’ ‘ eroe proletario’, altri della Colonna di Ferro avrebbero potuto esserlo .Lui era colto, teoricamente preparato, aveva idee molto chiare a cui era in grado di dare un’espressione coerente e incisiva. Aiutato dalla sua alta statura, era praticamente un gigante per quei tempi, quando parlava, usava uno stile secco e incisivo, tanto diverso dall’enfasi retorica che spesso caratterizza gli spagnoli, specie quando parlano in pubblico.
Non è certo un caso che il carattere che i due impressero alla colonne che ebbero in sorte di comandare fu quasi opposto.
La democrazia combattente era in secondo piano a Bujaraloz, mentre era la cosa più importante nella Puebla de Valverde e nella ‘Linea del Fuego’ la visione anarchica è molto più accentuata che negli articoli che appaiono su  ‘El Frente’
La Columna de Hierro fu infatti allo stesso tempo reparto da combattimento e organizzazione rivoluzionaria. Pubblicò un giornale, distribuì manifesti,lanciò comunicati per  spiegare tutto quello che faceva agli operai e ai contadini. Questa fu la sua particolarità
Le parole di José Pellicer sulla inscindibilità tra la guerra e la rivoluzione sono infatti affilate come il rasoio, il suo disprezzo per l’entrata degli anarchici nella Generalitat catalana prima e nel governo di Largo Caballero subito dopo era assoluto e totale.
La storia della vita e le azioni degli uomini e delle donne che come Pellicer lottarono per la liberazione integrale dell’uomo , sono state dimenticate anche da coloro che le avrebbero dovute tener presenti come parte integrante della memoria.
Sottolinea  a tale proposito Miguel Amoros che anche : ‘ I libertari di oggi hanno una scarsa attenzione per i loro eroi ad eccezione della deplorevole santificazione di Durruti. Impegnati a fare di lui un mito, finirono per uccidere il rivoluzionario’
Tutti coloro che conobbero Pellicer e condivisero le sue idee e i suoi obiettivi gli riconoscevano una dimensione umana inusuale, unita a un disinteresse personale e a una profonda umiltà. Altrimenti quegli uomini che non riconoscevano autorità alcuna, non sarebbero andati assieme a lui.
La Columna de Hierro insegnò la dignità ai galeotti che aveva liberato dal Penal di San Miguel de los Reyes e mostrò loro cosa significasse essere uomini liberi. La prima esperienza di comunismo libertario ebbe luogo al calore dei combattimenti, nelle immediate retrovie che essa controllava .
Il fatto  che José Pellicer risulti ancora oggi indigesto per molti anarchici è determinato dal fatto che la sua integrità e il suo sacrifico rendono ancora più sconcertanti le ambizioni e più vergognosa ancora la capitolazione di molti.
La tendenza rivoluzionaria e idealista dei tanti Pellicer si dissanguò sul  vari  fronti con sempre poche armi e poche munizioni  a disposizione, salvo poi scoprire che tutto nelle retrovie continuava come se nulla fosse successo.
Le spedizioni della Columna de Hierro in cerca di armi nelle caserme della Guardia Civil e della nuova Guardia Popular, per non parlare degli archivi bruciati, o degli assalti ai tribunali , erano un pruno nell’occhio  dei dirigenti della CNT. E le critiche di Pellicer e Segarra contro il vergognoso abbandono di Madrid assediata e la fuga del governo a Valencia, bruciavano come il sale sulle ferite.
La Colonna non accettò la militarizzazione e di conseguenze le cominciarono subito  a mancare munizioni, fucili, artiglieria per non parlare della copertura aerea che mai ricevette durante gli assalti.
Così José andò a Parigi prima e a Bruxelles poi, alla disperata ricerca di armi e di munizioni per la colonna.
A complicare le cose, un centinaio di miliziani proprio mentre si stabilizzava il fronte di Teruel , lasciarono la colonna se ne andarono nelle retrovie. Il comitato di guerra li considerò disertori , mentre Pellicer si rifiutò di andare al di là della loro espulsione pubblica da reparto . Per lui infatti un anarchico non poteva mai esercitare , per nessuna ragione, violenza alcuna su un compagno.
Allora i dirigenti della CNT decisero di ‘lasciare soli i rivoluzionari davanti alla legalità repubblicana ricostruita e armata.’
Il risultato fu il massacro del 30 dicembre in Plaza de Tetuan, dove anche Pellicer rimase ferito. Prefigurazione questa  di quello che sarebbe successo nel maggio del 1937 nelle strade  nelle piazze di Barcellona.
Trenta anarchici furono assassinati e ottanta rimasero feriti, durante una manifestazione di protesta , dal ricostituito esercito repubblicano, senza che i rappresentati ‘ufficiali’ della CNT muovessero un dito per aiutarli. Anzi i rivoluzionari si videro sottoposti dai loro stessi compagni a un vero e proprio linciaggio morale. Quando in tanti sostennero che se essi se avessero abbandonato il fronte, per vendicarsi, avrebbero scatenato una guerra civile nel campo repubblicano e che a quel punto i fascisti avrebbero vinto facilmente.
Quando in un plenum delle colonne confederali convocato dalla Columna de Hierro, Pellicer e i suoi si accorsero che i contrari alle militarizzazione, oltre a loro stessi, erano soltanto la ‘Tierra y Libertad’ e la 4° ‘Agrupacion della Durruti’, tutte le altre si erano piegate alle ‘circostanze’. La parola che avevano inventato Garcia Oliver , Federica Montseny e  molti altri dirigenti della CNT  per  cercare di spiegare il loro cedimento.
Essi posero infatti agli uomini che combattevano sui vari fonti il consueto ricatto: ‘adeguarsi o scomparire’
In una tempestosa riunione alla fine Pellicer sostenne che la decisione doveva essere presa da un’assemblea . Per parteciparvi la colonna venne sostituita sulla linea del fronte da altre unità confederali.
A Valencia in una grande assemblea fu accettato di convertirsi in una brigata dell’Esercito Popolare, questa decisione fu presa assieme ai prigionieri che erano ancora in carcere per i fatti di Vinalesa .
Con la cassa della colonna fu fondato un settimanale ‘Nosotros’ che poi divenne un giornale della sera, dotando così gli anarchici di Valencia di  un organo di stampa proprio. Che poi divenne il punto di riferimento di tutti quei compagni che criticavano la svolta ‘ministerialista’ della CNT, gli opportunismi, i cedimenti  e anche i tradimenti di tanti che per molto tempo erano stati accanto a loro.
 Il gruppo ‘Nosotros’ fu disconosciuto dai vertici della FAI. Malgrado le enormi pressioni, non divenne mai un giornale filogovernativo, neanche di un governo nel quele sedevano dei compagni conosciuti . In un processo rapidissimo di degenerazione, i rivoluzionari furono sostituiti dai burocrati , essi si rifugiarono così nei sindacati e nelle unità da combattimento in attesa di giorni migliori. Giorni che non vennero mai.
Pellicer, malgrado l’opposizione di molti fu nominato comandante della 83 Brigata, quella che era stata l’antica colonna di Ferro.
Ferito alla fine di luglio sul fronte di Teruel mentre si curava nelle retrovie fu incarcerato dai comunisti con le solite infamanti accuse che sempre toccano ai rivoluzionari.
Fu trasferito nella Checa di Valmajor, di Barcellona, poi sulla nave prigione Uruguay e infine rinchiuso nel castello del Montjuic.
Uscì dal carcere nel 1938 e relegato al comando di un battaglione della 129 Brigata. Dopo la caduta della Catalogna, invece di attraversare assieme a tanti altri i Pirenei,  passò nella regione Centro alla ricerca dei fratelli perché non voleva salvarsi da solo. Negli ultimi giorni di guerra divise mille dollari che aveva rinvenuto nella cassa del sindacato con gli operai presenti affinché questi potessero riuscire a fuggire e non tenne per sé nemmeno un centesimo
Ad Alicante attese assieme a tanti altri l’arrivo delle navi che dovevano portare in salvo quelle migliaia di uomini  e di donne in agonica attesa.
Quando riuscì a rintracciare i suoi due fratelli era ormai troppo tardi per cercare di fuggire. Preso prigioniero dagli italiani fu tradito e subito selvaggiamente torturato dai falangisti nelle segrete del castello di Santa  Barbara.
Varie volte lo misero al muro e fecero finta di fucilarlo, spostato da una prigione all’altra gli attribuirono infine morti alle quali era assolutamente estraneo,  compresa quella del fratello di un ufficiale falangista, perché Pellicer non sparò mai un colpo di fucile lontano dal fronte.
In realtà non gli potevano perdonare di essere stato il comandante della ‘Columna de Hierro’. Così decisero di ammazzarlo
Quando Pellicer fu ucciso era l’8 di luglio del 1942 e quel giorno doveva fare molto caldo. Quel caldo umido e soffocante, tipico dell’estate spagnola che ti lascia sfibrato e ti fa appiccicare come un sudario la camicia alla pelle .
I fascisti lo portarono fin dentro al cimitero e lo misero contro il muro. In lui c’era tanto dolore e tanta amarezza perché veniva fucilato assieme al fratello Pedro a cui era legato da un profondo affetto e con il quale aveva condiviso tutta quanta la sua avventura politica e umana e che non era riuscito a salvare.
Per fortuna, prima di essere stato fatto prigioniero aveva fatto in tempo a mettere in salvo la sua compagna Maruja e l’unica figlia Coral che oggi è la custode appassionata della sua memoria.Prima di morire scrisse una lettera dolcissima alle persone che gli erano care.
Incredibilmente la raffica del plotone di esecuzione lo lasciò all’impiedi e lui continuò a guardare fisso gli uomini che lo dovevano ammazzare, mentre il fratello agonizzava steso per terra.
Allora l’ufficiale che aveva ordinato il fuoco si portò a pochi passi da José e gli sparò un solo colpo in piena fronte. Pelliccer cadde al suolo e solo a quel punto l’ufficiale gli vuotò un intero caricatore nella schiena. Poi fu sepolto, mentre risuonava il rumore dei plotoni di esecuzione che ammazzavano i tanti che, come lui, avevano osato ribellarsi.
Assieme al ‘Manco’, a Pellicer e a tanti altri, nel cimitero di Paterna, riposa anche’La Jabalina’ che si chiamava in realtà Maria Pèrez la Cruz, una delle 41 donne che i fascisti fucilarono , dopo un giudizio ‘sumarisimo’ proprio nel cimitero. Quando l’ammazzarono aveva appena compiuto 24 anni ed anch’essa aveva fatto parte della ‘Columna de Hierro’.




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