domenica 17 aprile 2011

LA SEMANA TRAGICA DI BARCELLONA

‘ Il compito della pedagogia è quello di aiutare a crescere uomini la cui indipendenza sarà la loro forza più grande ’
 ( Francisco Ferrer y Guardia)


‘ Scopo dell’educazione non deve essere il sapere, bensì la capacità della persona di realizzarsi da sola, la pedagogia non deve proporsi di civilizzare gli uomini, ma di formare persone libere, affinare il carattere e la volontà ’
(Max Stirner)



In questo caldo e afoso luglio dell'anno 2009, mentre i roghi dolosi che incendiano i boschi stanno devastando mezza Europa, un gruppo anarchico di Barcellona: ' La Gallinaire', nottetempo ha tracciato delle scritte sulle pareti di una ventina di chiese del Sarrià, del Raval, del Clot e di altri quartieri ancora della città .
Scritte che gridano a tutti che : 'L'unica chiesa che illumina è quella che brucia ', come da sempre , l’eterna ‘Ducados’ tra le labbra , argomentava Diego Camacho,  e soprattutto '1909-2009, LA LUCHA CONTINUA '.
I 'Mossos de Esquadra', la polizia indipendentista della Catalogna, che veste eleganti divise disegnate da qualche stilista in voga oggi in Spagna, ha rassicurato il Vescovo di Barcellona che le indagini per identificare gli autori di queste scritte verranno condotte con lo zelo dovuto.
Quelle scritte, di colore nero, tracciate con la bomboletta spray, firmate con una a cerchiata, rappresentano la trasmissione della memoria di quello che accadde in città tra il 26 e il 31 luglio del 1909.
Barcellona al principio del secolo pare poco curarsi di quello che succede nel resto della Spagna, sul trono della quale siede il pallido ed esangue Alfonso XIII, mentre Antonio Maura del Partito Conservatore, è stato eletto primo ministro il 21 aprile del 1907, con elezioni che hanno visto il solito corollario di brogli e di voto pilotato, specie nei paesoni  persi negli sterminati latifondi della Mancha, dell'Estremadura come dell'Andalusia.
La Barcellona ‘novecentista’ , voluta da Manuel  Cerdà che progetta l’ Eixample e urbanizza il parco della Ciutadela, è quella che si appresta a inglobare nei confini urbani Barcelonete, Gracia e Sans, ed è anche quella ‘lanciata’ verso la sua ‘Renaixenca’, sintetizzata dal trionfalismo ‘modernista’ della monumentale architettura di Josep Puig y Cadaflach .
E la Barcellona borghese, quella degli affari, pare non rendersi conto che al ‘Carmelo’ come al Raval, alla Torre Barò e in tutti i quartieri proletari della città, si accalca una popolazione miserabile, cenciosa e analfabeta che ha la ribellione nel sangue.
Quello che preoccupa la dinamica borghesia barcellonese è in realtà l’aggressiva politica imperialistica degli Stati Uniti che, sotto la presidenza di Woodrom Wilson, hanno sottratto alla Spagna , con la guerra cominciata nel 1895 , le Filippine e Cuba, togliendo così all'industria manifatturiera catalana un mercato protetto sul quale ha operato in maniera monopolistica per decenni interi.
Tutto quello che rimane dell'immenso impero di Carlo V, è ormai ridotto a un mucchietto di colline calcinate dal sole , che viene pomposamente denominato il Sahara spagnolo. Colline ricche di vene di minerali ferrosi, quelle del Rif , ma che soprattutto servono a tramandare il mito di quella Spagna imperiale che ormai vive soltanto nei musei militari e nei polverosi archivi della città di Salamanca.
Il nove luglio del 1909, arriva in città la notizia che gli operai che stanno stendendo i binari della linea ferroviaria che porta da Melilla a Beni-Buifur, dove si trovano le miniere di proprietà del marchese di Comilllaso e del conte di Ramones, sono stati attaccati da una ‘cabila’ di berberi. L’impressione, appena la notizia arriva in Spagna, portata dal telegrafo, è enorme.
Appare inconcepibile che dei montanari analfabeti, che puzzano di latte di pecora, abbiano osato tanto, e per questo motivo vanno puniti, una volta per tutte. Infatti viene subito ordinata la mobilitazione generale. In realtà a rischiare la vita, tra le sabbie e le rocce del Riff, saranno chiamati sempre gli stessi.
Chi paga seimila reales, una cifra enorme per quei tempi, visto che con appena dieci reales, vive un giorno intero una famiglia operaia, è infatti esentato subito dal doversi arruolare nelle file di quell’esercito che è rimasto fermo alla battaglia di Marignano e che ormai da secoli, passa di sconfitta in sconfitta.
Giù al porto, i soldati che si imbarcano su quei piroscafi che li porteranno al macello, ricevono scapolari , medaglie benedette della Santa Virgen del Pilar e borse di tabacco. Regali che le dame che appartengono a quella ‘gente da bé’ che ha fatto grande la città, dispensano con compunzione e che in realtà fanno imbestialire i parenti e gli amici dei coscritti..
Il 26 luglio, quando in città arriva la notizia che duecento dei trecento riservisti, che appena pochi giorni prima si sono imbarcati al Porto Vecchio, sono stati macellati dagli uomini di Abd el Krim , ‘parte’ uno sciopero generale, che , al grido di ‘Abbasso la guerra ’ , si estende anche a Sabadell, Tarrasa, Badalona, Matarò, Granollers e Sitges.
Inoltre a Barcellona, proprio in quei giorni, è in corso lo sciopero di una fabbrica tessile che impiega ottocento operai, che si battono perché la giornata lavorativa venga portata da tredici a otto ore.  Cosa questa che accadrà soltanto nel 1919, è il più delle volte, questo provvedimento rimarrà  sulla carta.
Lo sciopero cittadino è stato dichiarato da un comitato che fa capo a Solidaridad Obrera, l’orgabizzazione sindacale che già conta in tutta la Catalogna più di trentamila iscritti.  Questo comitato tra gli altri è formato da José Rodriguez e Miguel Villalobos che è stato maestro di scuola elementare in un pueblo minerario. Il giorno dopo, i componenti di questo stesso comitato, vengono tutti arrestati dalla polizia.
Il ventisei luglio, i picchetti operai che si sono formati praticamente davanti a tutte le fabbriche della città, vengono attaccati dalla polizia. Subito si risponde con degli scioperi spontanei, che fanno sì che già a mezzogiorno,  il governatore della città, Angel Ossorio y Gallardo, sia costretto a dichiarare lo stato di guerra in tutta quanta Barcellona.
Alle 15.30 , viene attaccato  un commissariato al Clot,alle 23.30 dello stesso giorno,bruciano i Padri Maristi sempre al  Clot, e alla stessa ora, viene assaltato il patronato Obrero di San José , al Poble Nou, il primo edificio questo che verrà dato alle fiamme.
Alle dieci del mattino del giorno dopo, si attaccano le ‘Atarazanas’, alle  13.30 vengono appiccate le fiamme ai primi conventi, mentre un’ora dopo, sempre al  Poble Nou , viene devastato un commissariato di polizia.
Cominciano ad essere bruciate anche le prime chiese, saranno una ventina alla fine, quelle distrutte fin dalle fondamenta.
L’esercito da parte sua inizia a sparare sulle Ramblas, al Paralelo e sulla Diagonal, che dimostrano perché sono stati realizzati, sull’esempio delle vie perfettamente geometriche che il barone Hausmann ha progettato dopo la Comune per la città di Parigi. Inoltre i soldati ricevono l’ordine di passare per le armi chiunque compia atti ostili verso di loro,mentre divisioni intere, affluiscono in città provenienti dalle ‘dependancias’ militari di Valencia, Saragozza, Burgos e Pamplona. Malgrado gli operai e i pescatori di Badalona, San Adria’, Manresa, Valls e di altri centri ancora della Catalogna, abbiano divelto e interrotto in numerosi punti la linea ferroviaria, per impedire alle truppe di arrivare in città.
C’è intelligenza nella folla, più di trentamila tra operai tessili e del vetro, maestri di scuola e muratori, che è diventata in poche ore padrona della città.
C’è infatti chi attacca le caserme, chi invece fraternizza con i soldati, tanto che al Paseo Colon un squadrone di dragoni si rifiuta di caricare la folla.
Le settecento guardie comunali,vengono messe subito in fuga e costrette a rifugiarsi al sicuro delle loro abitazioni. Nei quartieri operai si alzano le prime barricate, anche le prostitute si battono tenacemente nelle strade.
Il 27 si attaccano le chiese e vengono riesumate dalle cripte, le mummie rinsecchite delle monache . Un povero ragazzo deficiente, José Ramon Clemente , balla con una di queste. Arrestato , verrà comicamente processato e condannato alla fucilazione, perché 'costruiva barricate '.
Il 28 si resiste ormai soltanto al Clot e al Poblenou. Qui la resistenza è tanto tenace che deve intervenire l'artiglieria che spara ad alzo zero contro le barricate. Ancora il giorno 29, sui soldati che passano di corsa per le strade, viene gettato di tutto dalle finestre degli appartamenti operai.
Il trenta e il trentuno , la fanteria attacca le ultime sacche di resistenza, poi finalmente l’esercito prende definitivamente il possesso di tutta quanta la città.
Il bilancio di quella settimana di scontri è pesantissimo . Settantacinque sono infatti i morti, tra cui otto soldati e tre religiosi . Più di cinquecento i feriti. Per Manuel Buenacasa , che parteciperà giovanissimo a quell’ insurrezione , i morti saranno invece  più di seicento.
Un dipinto rende bene, forse più di tante parole, quello che successe in città. La tela ritrae infatti un dragone dai lunghi baffi neri, il mantello svolazzate, il suo cavallo che fa rotolare davanti a sé un uomo poveramente vestito sul selciato della strada. Sullo sfondo una folla nera e dolente.
Ma per non smentire la sua proverbiale fama di città sempre all’avanguardia, quella che poi venne chiamata la ‘Semana Tragica’, anche se gli anarchici la denominarono la ‘Semana Gloriosa’, fu la prima rivolta urbana che ebbe una vera documentazione fotografica.
Le fotografie parlano di barricate costruite con gli ‘adokines’, i grandi ciottoli geometricamente squadrati che pavimentano tutte le vie del centro della città e rafforzate con le rotaie dei tram che sono state divelte dalla sede stradale. Molte le donne ritratte a costruire barricate, che si passano di mano, con vertiginosa rapidità suppellettili e materassi. Mostrano masse compatte di uomini e di donne che si scontrano con gli uomini dell’esercito. Uomini vestiti con giacche scure, molti tra di loro tuttavia gli autisti di piazza , con i loro spolverini colore del tabacco, armati di spranghe di ferro, marciano contro gli uomini dell’esercito.La foto più famosa è certamente quella presa dalla sommità di un tetto, probabilmente di un edificio di Plaza de Catalunya, che inquadra le tante volute di fumo che sovrastano tutta quanta Barcellona.
Prima si contano i danni, che assommano a milioni e milioni di pesetas. Risultano infatti completamente distrutti trentatre scuole religiose, altrettanti conventi e venti chiese. Sono stati devastati anche una trentina fra caserme, commissariati di polizia e palazzi signorili, fra questi , quello del marchese di Comillaso. Inoltre la folla di Barcellona ha bruciato registri di proprietà, pacchetti azionari ritrovati nelle sacrestie delle chiese e mucchi di soldi rinvenuti nei conventi, quasi a dimostrare il proprio disprezzo per i beni materiali.
Prima si contano i danni, poi, mentre il tutte le parrocchie di Barcellona vengono indette messe e tridui di riparazione, parte la repressione che vede duemila arrestati , molti di questi rinchiusi e torturati selvaggiamente nelle segrete del castello del Montujich, che gli anarchici non a caso chiameranno da quel momento in avanti,  il castello ‘maldito’.
I tribunali militari che siedono in seduta continua, condannano centosettantacinque tra uomini e donne all’esilio, comminano cinquantanove ergastoli, migliaia e migliaia di anni di carcere e erogano cinque condanne a morte. Alcune centinaia di persone, molti tra di loro maestri di scuola elementare , fuggono dalla città. Altri insegnati vengono invece deportati a Alcaniz, la prigione dalla quale a fatica si esce vivi.
Ma chi diresse quella rivolta? Chi la ispirò per davvero?
Ha ragione Anselmo Lorenzo quando dice che : 'Una rivoluzione sociale si è installata a Barcellona ed è stata iniziata dal popolo. Nessuno la dirige. Né i liberali, né i nazionalisti catalani, né i repubblicani, né i socialisti né gli anarchici '
La rivolta è stata sconfitta ,ma chi comanda ha capito benissimo quello che è successo a Barcellona.
Qualcosa che risulta essere completamente diverso da ciò che avvenne in città nel 1835, quando vennero bruciati i conventi, o nel 1840, quando si rivoltarono gli operai del tessile. O nel 1902, quando scesero per strada i metallurgici che Ramon Casas immortalò in un suo dipinto.
La stampa padronale registra con stupore che in quella settimana, le donne, invece di rimanere nelle cucine delle loro case, si sono rovesciate in massa nelle strade. Fini intellettuali come Teresa Claramut, Angela Lopez de Ayala e Amalia Domingo Soler, si sono battute  fianco a fianco delle donne proletarie, che hanno così cominciato a prendere coscienza della loro forza.
Sicuramente, questo è il ragionamento di chi comanda, c’è stato un ispiratore a quella rivolta che ha minacciato di distruggere la città, qualcuno che ha scagliato il sasso e poi vigliaccamente ha nascosto la mano. Qualcuno che deve essere stanato e punito per tutto ciò che ha commesso.
L’eterno nemico interno insomma , che ritorna, ogni qual volta non si riesce a spiegare un avvenimento, quando qualcosa sfugge alla verità precostituita.
 'La Veu de Catalunya' grida infatti a tutta pagina Delatad! E invita a denunciare i vicini,  'le teste di turco ' che tramano nell’ombra e che sono i veri ispiratori di quella rivolta che ha minacciato di travolgere tutto.
E un colpevole vero in realtà esiste, si chiama Francisco Ferrer y Guardia ed è il fondatore di quella Scuola Moderna , che basa la sua pedagogia sull : 'Ensenanza Cientifica y Racional' e ha intenzione di educare il bambino al lavoro cooperativo.
Francisco Ferrer y Guardia viene ritenuto l’ispiratore della rivolta, processato da un tribunale militare, dopo poche ore di dibattimento, viene condannato a morte. Le uniche prove che è in grado di esibire la pubblica accusa, stanno tutte in una lettere di protesta contro di lui, sottoscritta da praticamente tutti i religiosi che fanno parte delle gerarchie ecclesiastiche della città.
Ferrer , che una foto ritrae  con la paglietta in testa,  le mani strette dagli schiavettoni, mentre scende da un cellulare, con  tre uomini della Guardia Civil con la feluca rigida, che lo aspettano, viene fucilato nella fossa di Santa Eulaia ,sotto il bastione del baluardo di Santa Amalia , al castello del Montujich .
Oggi è sepolto accanto a Durruti e ad Ascaso , in una tomba in granito nero . Giovanni Pascoli, gli dedicò una brutta poesia che cominciava con il verso ‘ Uno scoppio di fucili…’. La ‘Domenica del Corriere’ gli dedicò la copertina, dove un plotone di soldati, vestiti come gli ‘zuavi’ dell’esercito francese, gli spara diritto nel petto.
La città di Barcellona , dopo la morte di Franco, ha innalzato  un monumento che lo ricorda , in cima alla scala mobile che porta alla fontana luminosa, sulla collina che lo vide morire.
Praticamente in tutte le città, ma a volte anche nei paesi d’ Europa, ancora oggi è possibile rintracciare lapidi con epigrafi dedicate al maestro della scuola razionalista. Ma che c’entrava Francisco Ferrer y Guardia con quella rivolta che aveva veramente ‘rivoltato’ la città fin nelle viscere? Dal punto di vista  giudiziario nulla, assolutamente nulla.
Non era in città quando il proletariato di Barcellona era insorto, tutti sapevano inoltre quanto lui fosse personalmente contrario a qualsiasi atto di violenza. Lo aveva scritto,lo aveva dichiarato appassionatamente nei tanti meeting e nelle decine di conferenze a cui aveva preso parte.
Ma Ferrrer era un uomo terribilmente pericoloso.
La prima scuola che ha aperto, è situata nel Carrer Bailen all’ ‘Eixample’, vicina agli istituti retti da religiosi, quasi a sfidare con la sua sola presenza il monopolio dell’educazione della chiesa spagnola. Nelle sue scuole si insegnava infatti la pedagogia razionalista, veniva praticato il metodo intuitivo di Pestalozzi,si citavano i testi di Reclus , Spencer , Anatole France, Tolstoj, Gorkji.
E in appena otto anni, tra il 1901 e il 1909,  nella sola provincia di Barcellona , erano state aperte ben 47 succursali di quella scuola che era ormai frequentata da più di mille tra bambini e  ragazzi.
Quest’uomo dal pessimo carattere e la voce graffiante, scriveva testi che esaltano la ricerca scientifica di Darwin , e osava proclamare che : ‘Senza dio l’uomo è più felice’. Inoltre nella sua scuola, i bambini e le bambine sedevano sugli stessi banchi, e facevano anche educazione fisica tutti assieme.
Nelle scuole che Ferrer ha fondato ,si parla di sessualità , si nega l’importanza della religione rivelata, si studia la teoria evoluzionista di Darwin.
E questo mina alle fondamenta le regole della civile convivenza. La pedagogia che viene proposta nelle ‘Scuole Razionaliste’, dove si sottolinea che ‘tutto il male viene dall’ignoranza’ mina alla radice  lo stato spagnolo ed è forse più pericolosa degli scioperi e degli attentati che attraversano tutta quanta la penisola
Non a caso la polizia, aveva  già tentato di ‘incastrare’ Ferrer in seguito all’ ‘affare’ Moral.
Mateo Moral che parla diverse lingue e , che come Ferrer è di una famiglia benestante, ha svolto il lavoro di bibliotecario per conto di Federico Urales e dello stesso Francisco Ferree.
Nel 1906, questo giovane uomo di ventisei anni, e dal viso affilato, per protesta contro la repressione che lo stato spagnolo ha scatenato contro le nascenti organizzazioni operaie, decide di ammazzare il re de Spagna.
Nasconde così una bomba in un mazzo di fiori e la butta quando passa il corteo regale dal terzo piano di una pensione in Calle Mayor al n 88 . Moral fa una strage.
Trenta infatti sono i morti, Alfonso XIII e sua moglie Victoria Eugenia, se la cavano senza neanche un graffio.
Moral che scappa con l'aiuto di José Nakens , un giornalista conosciuto negli ambienti del movimento , il due giugno viene riconosciuto da un cameriere mentre siede in un caffè di Torrejon de Ardoz. Invitato da una guardia al commissariato per accertamenti, la ammazza a rivoltellate, poi si suicida.
Quella volta la montatura poliziesca è apparsa tanto stupida e fragile che è stata facilmente smontata da una intelligente campagna di stampa.
Ma questa volta la partita che si è in qualche modo svolta nelle strade e nelle piazze di Barcellona è  stata particolarmente importante.
In quella settimana infatti, di cieco e di irrazionale, da parte degli insorti, non ci fu proprio niente.
Nelle strade della città infatti, si affrontarono due modi antitetici di intendere la vita e la società. Uno classista e difensore del privilegio sia economico che culturale, l’altro che invece si ispira ai valori di solidarietà e al ‘libre pensamiento’.
Ecco perché il vescovo di Barcellona , tuona dal pulpito della cattedrale contro Francisco Ferrer, anche se non lo nomina mai per nome e farà poi avere , alla notizia della sua condanna a morte, al procuratore del Tribunale Militare una spada d'onore con l'impugnatura in oro e la benedizione personale di Pio X.
Ecco perché il corpo di Ferrer che lascia tutti i suoi averi alla scuola , viene frettolosamente sepolto al cimitero Sud Oest.
Subito dopo la fucilazione di Francisco Ferrer, le ultime 127 scuole laiche ancora attive in tutta la Catalogna, vennero chiuse d’autorità. Al loro posto i vari ordini religiosi, istituirono i propri asili, le proprie scuole, i collegi che dovevano preparare la classe dirigente di tutta la Spagna.

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