domenica 17 aprile 2011

LA FUGA DI DURRUTI


 


‘ Quanto tempo è passato dal luglio ’36 . Nel calendario del mio cuore secoli!’

( Camillo Berneri)


Non c’ è posto più giusto del Montjuic per vedere tutta quanta Barcellona. Nelle chiare mattine di primavera, quando la città dorme sempre e lo smog  non l’avvolge ancora tutta con le sue nebbioline di un colore rugginoso e malato, lo sguardo spazia dalle colline che la serrano da presso , al Mediterraneo abbagliante sotto il sole.
Il nome Montjuic in catalano medioevale significa ‘Collina dei Giudei’ , ed è la corruzione del latino ‘Mons Jovicus’ , collina di Giove. Lì vennero sepolti per secoli i sefarditi della fiorente e dinamica comunità ebraica che erano scampati agli ‘autodafè’ della Santa Inquisizione che li aveva mandati sul rogo o costretti all’ esilio nelle ‘medine’ dei paesi dell’ Africa araba.
C’è  chi ritiene che la collina sia la madre naturale di Barcellona, perché dalle sue viscere, a partire dall’epoca romana , e fino al 1957,venne tratta quella pietra arenaria di colore grigio,  altre volte giallastra o addirittura tendente al rosso, con cui furono costruiti tanti palazzi della ricca borghesia cittadina, chiese e conventi. E soprattutto la cattedrale di ‘San Pau’ ,e quella di ‘Santa Maria del Mar’. La chiesa quest’ultima dove i ‘conquistadores’ e i marinai che sopravvivevano alla febbre gialla delle traversate oceaniche che duravano mesi interi, andavano ad accendere ceri votivi grossi come tronchi d’albero.
La collina del Montjuic , alla fine dell’ ‘8oo fu urbanizzata per soddisfare la fame di terra che aveva la città , quando lo sviluppo dell’industria tessile la fece diventare quella metropoli dinamica e scintillante che tutta l’Europa invidiava. Ma per non venir mai meno alla sua fama di città ‘partita’, di  città sempre pronta ad esplodere, dove la neutralità e le sfumature non erano ammesse, il Montjuic divenne, assieme alla ‘Ciutadela’ che sorgeva a Nord Ovest, esattamente dal lato opposto della città,  il ‘catenaccio’ che teneva sotto controllo tutta quanta Barcellona.
Nel 1751 sulle sue pendici venne infatti costruita a cura di Juan Martinez Cermeno, una tetra fortezza di pietra,che  aveva il compito di sorvegliare gli abitanti di quella città perennemente ‘insumisa’, da cui per tanto tempo si alzarono i clamori della sovversione. Sorveglianza  che la sua guarnigione, fece  già a partire dalla ‘Jamancia’ del 1843 , quando i pesanti pezzi di artiglieria di cui la fortezza era munita , distrussero ben 460 edifici della Barcellona proletaria e anarchica che per la prima volta nella sua storia era insorta .
La fortezza del Montjuic, insieme al ‘Modelo’ diventò presto tragicamente familiare alle migliaia di anarchici che, per più di un secolo nelle sue segrete furono rinchiusi e seviziati . Tra di loro Teresa Claramut, la fine intellettuale autodidatta, l’unica donna mai torturata nelle sue celle, che uscì dalla fortezza con i capelli completamente bianchi e la colonna vertebrale irrimediabilmente rovinata.
Al Montjuic furono strangolati lentamente con il ‘garrote vil’, il 4 maggio del 1897, i cinque anarchici accusati di aver scagliata una micidiale ‘Orsini’ che aveva fatto dodici morti e più di trenta feriti sulla processione del ‘Corpus Domini’, proprio quando questa passava nel ‘Carrer Canvin Nous’. Nei suoi fossati fu fucilato Francisco Ferrer Y Guardia, e la notizia della sua morte, fece esplodere i quartieri proletari della città intera. Gli operai divelsero chilometri quadrati di ‘adokines’, che si dimostrarono splendidamente adatti a spezzare le cariche delle guardie a cavallo , eressero barricate, attaccarono caserme, bruciarono chiese e posti di polizia, e per ben nove giorni si batterono validamente contro le divisioni che marciarono su Barcellona dalle ‘dependancias’ della Spagna intera.  
E quando l’esercito di Francisco Franco occupò la città , nel novembre del 1939, la fortezza del Montjuic divenne il luogo dove furono per anni fucilati a centinaia gli anarchici che erano rimasti in città  per organizzare la resistenza al franchismo.
Nel continuo rimodellarsi di una città come Barcellona che sempre insegue le frontiere più avanzate del profitto , grazie all’ anima mercantile e commerciale che le è propria fin dall’ epoca fenicia, anche il Montjuic ha cambiato più volte pelle . Fu infatti sede nel 1929 di quell’ ‘Esposizione Universale’ , che arrivava fino a Plaza de Espana, per poi finire praticamente al ‘Paralelo’, quell’ampio viale che non è parallelo a niente , ma che divide il ‘Poble Sec’ dal ‘Barrio Chino’ , e che soprattutto doveva servire a far arrivare il  più velocemente possibile le truppe in quei quartieri da dove periodicamente si alzavano i clamori della sovversione e della rivolta.
I padiglioni dell’ ‘Esposizione’ , furono costruiti nell’ aereo e ottimistico stile ‘modernista’ , in cristallo e acciaio in quello stile che allora tutti conobbero da allora come  ‘Jugendstile’ ed entusiasmarono il mondo intero,  grazie all’arditezza delle loro forme , anche se gli operai che si sfinivano nei cantieri in giornate di dodici ore di lavoro, scrivevano sui loro volantini che  morivano di fatica per un salario di merda e cantavano: ‘Con sangre murciano e de Laneria se edificò una Exposicion’ .
Il Montjuic divenne poi parco delle attrazioni ,  giardino pubblico e infine , grazie alle olimpiadi del 1992, quando furono sventrati , con il pretesto del risanamento, i vicoli della città vecchia, asfaltate le piazzette in terra battuta, rimosse le panchine in ferro ghisato, costruiti quei palazzi dalle pareti a specchio, tutti uguali tra di loro da Helsinki a Bangalore, la collina divenne il fiore all’ occhiello della città intera. In realtà quella fu l’occasione per dare il via alla più gigantesca operazione di speculazione edilizia dell’ Europa in tutto il 1900. In quegli anni , si tentò di cancellare l’identità proletaria e anarchica dei quartieri operai, di distruggere in nome del progresso, quella rete di relazioni umane , quel tessuto sociale e urbano che per tanti anni aveva fatto di Barcellona la ‘Rosa de Fuego’.
Oggi, sulle pendici del Montjuic sorgono l’ ‘Estadio Olimpico Luis Companys’,il ‘Palau San Jordi’ disegnato da Arata Isozaki, la piscina de ‘Saltos’ e quella di ‘Picorell’ ,l’antico ‘Palacio de Los Deportes’ oggi di proprietà del Barcellona , il ‘Teatre Musical’, la ‘Torre’, progettata da Santiago Calatrava, il ‘Teatro Lliure’, e il museo intitolato a Joan Mirò.
 L’ unica cosa che in tutti questi anni, della collina mai ha cambiata funzione , è il cimitero. Il primo della città costruito fuori dalle mura medioevali , che la rivoluzione industriale si apprestava a travolgere. Fu benedetto nel 1775 dall’ arcivescovo Clemente. Brutto come lo sono tutti i cimiteri moderni , che sembrano fatti apposta per nascondere il delitto rappresentato dal mistero della morte, che l’uomo di oggi non sa spiegarsi né accettare. Delimitato da piani e piani di colombari fitti e bianchi , quelli che i catalani chiamano ‘ nichos’, simili a scatole dalla scarpe tagliuzzate da un bambino capriccioso , che ricordano  i condomini dell’ incubo urbano rappresentato dalle bianche torri del  Gratosoglio di Milano.
Qui , nella tomba Menor numero 69, fu sepolto il 22.11.del 1936, Buenaventura Durruti, dopo quei funerali, ‘ bizzarri e grandiosi ’ che avevano veramente dimostrato come la pallottola che lo aveva ucciso, ‘era davvero arrivata diritta al cuore di Barcellona’. Quel giorno, come era successo soltanto per il ‘Noy de Sucre’,sfilarono in più di 350.000 dietro alla sua bara, coperta dalla bandiera della CNT/FAI. In tanti, per vedere passare quel fiume di gente, salirono sugli alberi delle Ramblas , in migliaia rimasero per ore affacciati alle finestre o sui balconi . Perché, il funerale era davvero ‘… uno spettacolo grandioso, imponente e bizzarro ’ . Le bandiere della CNT fiammeggiavano nell’ aria umida, e sventolavano sulla moltitudine che portava  il foulard rosso e nero. Molti i feriti che marciavano con il braccio al collo o la testa avvolta in bende candide. Non c’era servizio d’ordine e giustamente tutti si ammassarono dove ritennero più opportuno . Non c’era niente di preordinato né di organizzato, ‘… nessuno dava ordini, tutto succedeva spontaneamente ’.
C’era chi cantava ‘Hjio del pueblo’, alzando il  pugno chiuso e chi mostrava esili striscioni che già ponevano domande angosciose. Pochi portavano i cappelli, in tanti calcavano il basco o la ‘gorra’, il pesante berretto di cuoio. Molti avevano cappotti e impermeabili, tanti altri ancora  vestivano giubbetti o ‘giacchi’ di cuoio.
Quella volta c’erano veramente tutti.
Le delegazioni delle ‘Colonne’ arrivate dritte dal fronte d’Aragona , i ‘vecchi’ sindacalisti del ‘Barrio Chino’ o del ‘Pueblo Seco’ che erano sopravvissuti alle ‘pistole’ di Koenig, le donne del ‘Tessile’ e quelle delle ‘Muijeres Libres’, i giovani della ‘Columna de Hierro’, con a capo Pelliccer , l’uomo dall’ alta figura e le idee  dolorosamente chiare ,già schedati dai poliziotti, Cipriano Mera e una delegazione delle ‘Armate del Fronte di Madrid’ .
Gli ‘Acrata’ che avevano disertato, loro combattenti della prima ora, le unità che avevano contribuito a formare,quando gli anarchici si erano piegati alla militarizzazione, i combattenti italiani della ‘Colonna Ascaso’, con Umberto Marzocchi e Bruno Salvatori , che tutti conoscevano come Antonio Gimenez, gli insegnati degli ‘Ateneos’, i ‘casseurs’ romagnoli, arrivati da Sietamo , che in Francia si erano venduti il bottino che avevano accumulato in anni di rapine, per comprare armi, e i loro amici che erano arrivati a combattere in Spagna dritti dalle miniere della Sarre o della Rurh, dove, a furia di cavare carbone, erano diventati tubercolitici .
Gli ascetici vegetariani e gli esperantisti, i ‘Dinamiteros di Utrilla’ e gli uomini de ‘La noche de Gallart’, che ogni notte guadavano l’Ebro. Gli ‘Uguali’ con Ponzan che strizzava gli occhi da miope, e pareva impossibile che proprio lui fosse uno dei guerriglieri più sperimentati .
Ci vollero ore e ore per arrivare alla ‘Plaza de Catalunya’ ,che distava solo poche centinaia di metri da dove il funerale era partito: la ‘Casa degli anarchici ’ , quella che per tanti anni era stata la sede della ‘Patronal’. L’unica in quella moltitudine che piangeva era Emilienne Morin, la compagna francese di Buenaventura, anche se tutti sentivano che la morte di Durruti era una perdita irreparabile.
Nella seconda fila, appena dietro Garcia Oliver e  Federica Montseny, ormai ‘ingessati’ nella loro funzione ministeriale , spicca la faccia pallida, emaciata e sofferente di Rafael Liberato Torres Escartin, uno dei tanti ‘dimenticati’ di quegli anni convulsi e esaltanti.
Rafael che è stato sin dall’ inizio con Durruti, è vegetariano, non fuma né beve . Per anni ha vissuto  tra Barcellona e Saragozza . Ha assaltato la banca di Eibar , per avere i soldi necessari per pagare gli Avvocati che devono difendere le migliaia di anarchici  che sono rinchiusi nelle prigioni e nei bagni penali di tutta la Spagna.
I1 primo settembre del 1923 , è fuggito da Bilbao, dopo aver rapinato seicentocinquantamila ‘pesetas’ alla filiale del ‘Banco di Espana’ . Inseguito dalla polizia, malgrado sia riuscito , a saltare da un treno in corsa, è stato scovato in una casa di Oviedo. Il suo amico Eusebio Brau, che ha cercato di rompere l’accerchiamento dei poliziotti sparando con una pistola automatica in ogni mano, è stato crivellato di pallottole. Lui è stato arrestato, ma in carcere c’è rimasto poco. Meno di ventiquattro ore. Infatti è riuscito a fuggire  il giorno dopo , assieme ad  altri sette detenuti. Ripreso,  lo torturano per giorni  e giorni, lo condannato a morte,poi lo mandano all’ergastolo .
Rinchiuso nella fortezza di ‘El Dueso’, a Santona,  per quindici mesi rimane  rinserrato  senza uscire nemmeno un minuto dalla sua prigione , un buco fetido che si apre al livello del suolo , coperto da una lastra d’acciaio che rende la cella gelida o simile a un forno, a seconda delle stagioni. I soldati che lo sorvegliano si divertono a sparare sulla lastra d’acciaio che rimanda il rumore dello sparo amplificato per mille,  e come non bastasse, più volte lo sottopongono a false esecuzioni , fino a che non comincia a impazzire. Amnistiato nel 1931, si converte in portavoce dei detenuti comuni. Viene poi internato all’ istituto ‘Pere Mata’ di Reus. Trova la forza di fuggire  tre volte, dal manicomio , anche se lo riprendono sempre. L’ultima volta lo vanno a cercare a casa di un fratello , che verrà poi fucilato dai fascisti. Ormai irrimediabilmente impazzito, viene rinchiuso in un asilo per alienati. Di lui i fascisti non si sono certo dimenticati. Infatti quando le divisioni di Franco occuparono Barcellona piegata dalla fame e dal tradimento, una delle prime cose che fecero fu di tirare fuori Rafel dal manicomio dove era stato rinchiuso negli ultimi tre anni, e di fucilarlo al Montjuic.
Alla fine del funerale, i discorsi ufficiali, furono pronunciate davanti al monumento di Cristoforo Colombo, poco lontano dalle ‘Atarazanes’, dove era stato ucciso nell’ ultimo assalto, Francisco Ascaso.
Finalmente il feretro di Durruti fu portato al cimitero del Montjuic per essere interrato. Ma il cimitero era talmente pieno di gente che ‘… il cammino verso la tomba era bloccato. Era difficile avanzare, poi migliaia di corone avevano reso intransitabile i vialetti del cimitero. Scese la notte. Cominciò a piovere un’altra volta. Presto la pioggia diventò torrenziale e il cimitero divenne un pantano su cui  galleggiavano le corone di fiori. All’ ultimo momento fu deciso che Durruti sarebbe stato seppellito il giorno dopo.’ Allora la gente se ne tornò a casa.
La mattina del  ventidue novembre dell’ anno 1936, finalmente,Durruti fu sepolto nella tomba Menor numero 69, di cui, stando ai registri comunali , ne risultano proprietari in perpetuo le ‘ Milicias de Catalunya’.
Il 20 novembre del 1937  il primo anniversario della sua morte, dopo un meeting che si tenne al cinema ‘Tivoli’ , fu inaugurato il mausoleo che lo doveva ricordare, un semplice triangolo costruito con la stessa pietra della tomba , e Durruti  fu sepolto , questa volta accanto a Ferrer e al suo amico Francisco Ascaso.
La ‘Soli nel numero del 23 novembre del 1937 riportò la manifestazione di omaggio a Durruti e articoli che lo mummificavano in una sorta di ‘pantheon’ proletario.
Nelle foto che la rivista‘Umbral’ pubblicò nel novembre del ‘ 38, nel secondo anniversario della sua morte , si riconoscono Ricardo Sanz , uno dei ‘Solidarios’ che era diventato il tenente colonnello comandante della 26a Divisione, quella che era stata la ‘Colonna Durruti’ e Garcia Oliver, che pronunciò un discorso intriso di insopportabile retorica, uno dei tanti che tenne in quegli anni . I due uomini sono l’uno accanto all’altro, e danno le spalle al mare , davanti a loro una gigantesca corona di fiori con la scritta : ‘La 26a Divisione a Durruti’ .
Ma allora la rivoluzione già era morta e la guerra era ormai diventata soltanto una terribile questione di vita e di morte e non la lotta per l’affermazione di una nuova etica, di una nuova società, di una nuova idea di rapporti umani.
Al cimitero del Montjuic non si tenne una terza commemorazione. Il gennaio del 1939 infatti, in una triste e umida giornata, le truppe di Franco entrarono in città. I soldati sfilarono sorridenti lungo le ‘Ramblas’. Prima parteciparono nella cattedrale a un solenne ‘Te Deum’ di ringraziamento, poi , guidati dagli uomini della polizia che si erano semplicemente limitati a cambiare le mostrine alla casacca che portavano, si avventarono sui quartieri operai. Occuparono e vandalizzarono tutte le sedi sindacali e dei partiti, serrarono ermeticamente gli ‘Ateneos’ dove in tanti avevano imparato a leggere e a scrivere, chiusero anche gli ambulatori medici che il sindacato della ‘ Sanità ’ aveva aperto in tutta Barcellona. Strapparono i manifesti , cancellarono le scritte che avevano incendiato i muri di tutta quanta la città, e si impadronirono delle rotative dove per anni era stata stampata la ‘Soli’. In tutta la Spagna furono sequestrati più di milleseicento  edifici che la CNT aveva costruito con anni di sacrifici e di quotazioni dei suoi iscritti. Sequestrati e poi ceduti all’ ‘Auxilio Social’, agli ordine ecclesiastici, alle associazioni d’arma, a semplici privati cittadini. Trenta le tipografie confiscate, tremila i depositi bancari che furono ‘incautati’ dallo stato spagnolo.
I soldati, le camicie azzurre e i ‘senoritos’, diedero una caccia spietata ai tanti sindacalisti e agli anarchici che erano rimasti in città, perché Barcellona doveva essere ‘ripulita’ da tutti coloro che avevano osato ribellarsi. A migliaia li rinchiusero al Montjuic o al ‘Modelo’. Li interrogarono, li torturarono poi cominciarono a fucilarli a mucchi. Soltanto al ‘Campo della Bota’, ne furono sepolti così tanti che nessuno riuscì mai a contarli.
La nuova municipalità,  chiarì subito che bisognava ‘cancellare il passaggio dell’ orda ’. Furono così cambiati i nomi di più di quaranta tra piazze  e strade. Vennero rimossi monumenti e stele ricordo. Furono sepolte in bui magazzini anche le più innocue delle statue, soppresse , perché pericolose e sovversive le associazioni degli esperantisti e anche quelle che raggruppavano i naturisti. Perfino la squadra di calcio dello ‘Jupiter’ dovette cambiare il nome, e rinunciare al proprio simbolo.
Il sindaco in persona diede l’ordine all’amministrazione del cimitero di ‘far sparire dalle tombe dei politici e dei leaders operai, particolarmente da quella di Durruti , qualsiasi segno che potesse richiamare l’attenzione della gente e situare agenti di sorveglianza per evitare ogni visita a queste tombe ’.
E così fu fatto. Infatti per decenni le tombe di Durruti, di Ascaso, come del resto quelle di Sanchez Rosa, di Valeriano Orobon Fernandez, e di tanti e  tanti altri , sparse per tutta la Spagna, furono sorvegliate strettamente da parte della polizia e della Guardia Civil. Inoltre, il 26 gennaio del 1939 il mausoleo che al cimitero del Montjuic lo ricordava fu distrutto, e per cancellare anche la più piccola traccia, dalla sua tomba, come del resto da quelle di Ferrer e di Ascaso, vennero scalpellati via i nomi
Nel 1940 Francisco Ascaso fu inumato in un ossario, assieme a tanti altri che erano caduti in combattimento o che erano stati fucilati nella repressione sanguinosa che durò massiccia e spietata fino al ‘49 e fece centinaia di migliaia di vittime.
Anche il corpo di  Durruti doveva finire come quello di Ascaso, in un anonimo ossario, ma quando si alzò la lastra della sua tomba , questa risultò essere vuota. Come per la sua morte, così sul suo ‘entierro’, non c’è certezza alcuna. 
Ancora oggi gli impiegati del cimitero dicono che i resti di Durruti li portò via con sé Emilienne Morin , per seppellirli in Francia, ma non è vero . La bionda compagna di Buenaventura per anni ha sempre negato questo.
A questo punto, un personaggio di in un romanzo di avventure di Emilio Salgari, si chiederebbe : ‘Dove è finita la salma di Durruti?’. Una risposta certa non c’è. Anche se  nel ‘milieu’ anarchico di Barcellona, cominciò presto a circolare cauta una storia strana , su dove fosse effettivamente finito il corpo di Buenaventura.
Infatti,quando tutto era perduto e  la fine era ormai annunciata, una notte, un gruppo di compagni dissotterrò la sua salma e la nascose con perfida furbizia , nella cripta di un altare , al posto delle ossa ormai polverizzate di uno dei tanti vescovi che da secoli sono inumati tra i marmi e le colonne a tortiglione delle chiese di tutta la Spagna. Davanti ai quali si prega,si accendono candele , si portano fiori o magari si appende un ex voto. Di solito un cuore d’argento su velluto rosso con la scritta in caratteri gotici: ‘Per grazia ricevuta ’.
Magari oggi davanti a quello che resta del corpo di Durruti, a cui non doveva mancare il senso dell’ umorismo ,recita il  rosario qualche vecchia signora che è preoccupata per gli esami di maturità di un nipote, o che prega per scongiurare l’imminente divorzio della figlia.
Non si sono mai conosciuti i nomi dei compagni che portarono via il suo corpo, non è mai trapelata nessuna notizia della  loro identità , nessun indizio su dove Durruti fosse finito. Forse questa è soltanto una leggenda. O forse no . Del resto chi mai lo può sapere ? Comunque è una bella storia.
Magari  la storia è più semplice di quello che si pensi , e la presenza o meno di un corpo in una tomba non serve certo a modificarla. Durruti infatti è un eroe collettivo, che è cosa ben diversa da essere un semplice capo, un ‘leader’, o magari un ‘caudillo’. E’ in una qualche misura il frutto, magari più riuscito o  semplicemente più fortunato di quella musica di idee che scandì per anni la vita del proletariato cosciente di Barcellona. E’ veramente un eroe ‘popolare’, come lo furono ‘El Quico’, di cui per molto tempo i sottoproletari , nelle fumose bettole dei quartieri del porto ,si rifiutarono di riconoscere la morte. O come Emiliano Zapata, il cui cavallo per anni e anni fu visto correre , sulle montagne dello stato del Morelos, libero e imprendibile agli assassini che avevano ammazzato il liberatore degli indios. Perché l’eroe ‘popolare’, non è chi si staglia solitario in pieno sole, in una strada polverosa, tantomeno è colui che arriva al potere , cosa questa che sempre ti allontana dalla gente comune, dai suoi bisogni, dalla sua vita. L’eroe popolare è  chi ti è stato compagno di lavoro in un’ officina in un ufficio o nei campi, che ha condiviso le tue aspirazioni, i tuoi valori, le tue stesse ansie, magari i tuoi dolori. E dunque non puoi accettare che egli muoia,o che qualcuno di lui ti sottragga la memoria,  perché se così fosse , verrebbe meno la ‘Speranza ’, che in fondo, per gli oppressi, altro non è se non il motore della storia.
Quella che è certo è che sulla tomba di Durruti, malgrado la stretta sorveglianza della polizia, molte persone in tutti gli anni in cui Franco rimase al potere , si recavano per un veloce saluto. E’ sicuro che molti di loro sapevano benissimo che sotto la lastra di marmo non c’era niente. Ma ci andavano lo stesso. Del resto tutti sanno benissimo che la memoria per essere tramandata , non ha certo bisogno di un corpo.
Nella sua tomba , il 15 luglio del 1947 fu interrata Clara Vicente Boada , una signora morta di malattia, che curiosamente portava lo stesso cognome che Durruti si era dato in America Latina, mentre rapinava banche e sfuggiva assieme agli altri‘Erranti’ , alla caccia accanita che gli diede le polizie di quattro paesi.
Oggi , le tre tombe sono lì , semplicemente l’una accanto all’ altra. Viste in fotografia sembrano di granito o di marmo ‘Nero’ del Belgio.
Quella di Durruti reca la scritta ‘ Llegamos un mundo nuevo en nuestros corazones. Y esto mundo crece a cada istante. Està creciendo mientras y hablo con usted’.La frase che Buenaventura Durruti Dumarge pronunciò in un’intervista al giornalista del ‘Toronto Starr’, quando guidava la sua colonna nelle campagne d’Aragona arroventate dal sole dell’ estate del 1936.

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